La parola che meglio mi descriveva è “somatizzazione”
Ogni fibra del mio essere era troppo impegnata a plasmarmi per come il mio compagno mi volesse, per potermi permettere di ascoltare i miei “no” e i miei “basta”.
A volte la violenza ce la facciamo da soli.
Non avendo la forza di dire di no ad un compagno che vede in te solo un corpo,
carne da offrire ad un pubblico estraneo, freddo e vorace.
A volte la violenza sta nel soffocare il grido di aiuto che porti in grembo,
troppo terrorizzata dall’idea di essere rifiutata, allontanata, lasciata sola.
Non perchè sola non sai stare, ma perchè devi dimostrare a te stessa che sei all’altezza,
che lui cambierà per te, che lui ti reputerà più importante, che ti amerà.
E non ami te stessa.
Allora sei satura, e non sei capace di capirti, di ascoltarti,
e cadi dalla padella nella brace.
A volte la violenza la percepiamo giusta nei nostri confronti.
Come se quello fosse l’unico destino possibile, ci arrendiamo a persone che ci manipolano,
che ci allontanano da chi ci ama, che ci spengono lentamente.
Così ti radi i capelli, dimagrisci, i tuoi occhi perdono luce, ti guardi allo specchio
e ti graffi la faccia da sola perchè non riconosci quello che vedi.
Ti lasci manipolare come se il tuo corpo e la tua anima fossero privi di vita,
incapace di dire di no anche quando da dentro tu vedi e senti tutto.
Eppure non riesci a portare fuori nulla.
Nemmeno quando gli atteggiamenti diventano dapprima furiosi e rabbiosi, e infine violenti.
E non ami te stessa.
E ti senti sola.
Io ho avuto la fortuna, ho avuto dietro di me
persone meravigliose che sono state pronte a raccogliermi quando sono caduta.
Qualcuno che io inizialmente non vedevo, perchè ero cieca persino a me stessa.
Quando gli attacchi di panico mi facevano crollare senza respiro per terra.
Quando non mi ricordavo dove fossi e come ci fossi arrivata,
c’è stato qualcuno che non ha fatto domande e mi ha riaccompagnato a casa.
Quando le crisi di pianto mi coglievano in negozio,
le mie colleghe non chiedevano e mi davano il cambio per lasciarmi andare in bagno a piangere.
Quando sono tornata a casa dei miei genitori, persino la gatta era sul letto ad aspettarmi.
Lei, l’unica che ha saputo tutto.
Ho tenuto dentro il dolore per anni,
incapace di fare uscire poco più di alcuni bocconi amari con alcune persone a me care.
Mi sentivo sola, incompresa, disperata e morta dentro.
Se provavo a darmi ascolto mi assaliva la paura che lui avrebbe saputo, persino mesi e anni più tardi, quando lui nella mia vita non c’era più;
qualcuno mi ha risposto che c’era di peggio, che alcune donne i pugni li prendevano in faccia;
ma io ho sempre sottovalutato il mio disagio e incassavo silenziosamente.
#iosonounaguerriera |
Oggi, a distanza di anni, capisco quante cicatrici mi porto dentro.
Oggi, a distanza di anni ancora piango quando ne scrivo.
Ma le lacrime non sono più accompagnate dalla paura.
Sono cariche dell’amore che finalmente ho per me stessa.
Dell’amore che vorrei che ognuno di noi accendesse dentro se stesso.
Per lasciarsi brillare, per vivere.
Oggi, nonstante le lacrime, gli errori, le cadute, le sconfitte, le delusioni, lo so.
E voglio che sempre più persone sappiano combattere le proprie battaglie e sappiano viversi.
Mi asciugo le lacrime.
Io sono una guerriera.
Lale
12 Aprile 2018
Bellissime parole! Anche se dietro c’è un dolore immenso che fa soffrire anche chi legge, è fondamentale la nota positiva e di speranza nel finale.
Bravissima, e complimenti per la forza ed il coraggio, durante e dopo!