Eccomi qui. A fidarmi di nuovo della vita. A dirmi che il momento giusto arriva.
Oggi quel momento è arrivato.
Uno stimolo esterno, di una donna coraggiosa, ha suscitato il mio pianto… ed eccolo, IL momento: Perché continuare a negare? A nascondere? Di cosa vergognarmi? E la mia storia non può forse essere per qualcun altro lo stimolo, l’evento che suscita il cambiamento?
Ebbene.
Avevo sette anni.A giugno, luglio ed agosto andavo al centro estivo, stavo li tutto il giorno aspettando che mamma o papà venissero a prendermi dopo il lavoro.La mattina stavo a mollo in piscina, il pomeriggio mi dedicavo al tennis.All’inizio, per scelta. All’inizio, con le mie amichette. Poi… ho incontrato un uomo.Era sulla quarantina. Mi faceva giocare, fare tuffi, mi riempiva di attenzioni. E le attenzioni mi lusingavano… come era simpatico quel signore!
Poi…
Ricordo che, nella confusione della piscina, dicevo “Voglio uscire!” e scalciavo verso il bordo. Niente da fare, ero bloccata da lui, da quelle mani che suscitano tuttora il mio ribrezzo, quelle mani che non riuscivano a stare ferme. E subito dopo, ero bloccata da me stessa. Immobilizzata, rigida, incapace di reagire.
“Perché mai vuoi andartene? Non vuoi giocare ancora un po’?”
E quel profondo senso di vergogna…
“Com’è andata oggi?”
“Bene mamma.”
Tutti i giorni.
Avevo smesso di entrare in acqua, ma lui veniva a cercarmi.
Io ero incapace di oppormi. In verità, non sapevo neanche che cosa stesse accadendo.
Non sapevo neanche perché il mio corpo mi dicesse di stargli lontano, e mi sentivo in colpa per questo. Perchè mai questa vergogna?
Alla vergogna seguiva il silenzio.
La vita mi aveva condotto lì. Capita. Avevo sette anni, e facevo del mio meglio.
Tutti facciamo del nostro meglio.
Le cose accadono.
Feci del mio meglio anche per le due estati successive, quando i miei mi iscrissero nuovamente al centro estivo e io non ebbi il coraggio di dirgli che non volevo.
E continuai a farlo per i 18 anni successivi quando, eliminato quell’uomo dalla mia vita (un colpo di fortuna nella vita lavorativa di mio padre mi portò in un’altra città), scelsi ancora il silenzio quotidiano. Il ricordo era offuscato, riuscivo a passare intere giornate senza che quelle immagini mi scorressero davanti. Era fatta! L’incubo era finito!
Tenevo la testa nella sabbia, ma non lo sapevo.
Diciotto anni dopo, una relazione finita molto male e una conseguente depressione mi condussero da una psicoterapeuta. Persi la speranza, toccai il fondo, e la bilancia raggiunse i minimi storici. A lei fu subito chiaro che in quel malessere c’era qualcosa di molto più profondo e antico della fine di una relazione. E così scavammo insieme nel mio passato. Si arrivò LI molto in fretta.
Il dolore mi aveva portato da lei, ma da quel momento, seduta dopo seduta, cominciai a meravigliarmi di quanta pazienza, volontà e speranza nascondesse invece il mio cuore infranto.
Pochi mesi di terapia bastarono a rimettermi al mondo, e non solo in senso figurato. Con i piedi ben piantati per terra, stavolta.
Ed ora, dopo più di due anni, continuo a seguire la terapia e ringrazio me stessa e gli eventi che mi portarono li. Perché il percorso di conoscenza e di consapevolezza intrapreso mi ha dotato di qualcosa di molto più grande della sola salvezza da un evento: mi ha dotato degli STRUMENTI necessari per orientarmi nel mondo, dell’ascolto del mio corpo e delle mie emozioni, della possibilità di vivere in serenità.
Spero che riportare la mia esperienza possa essere d’aiuto a qualcuno che, come facevo io, sente di nascondersi. A qualcuno che nella sua quotidianità sente il peso dei grossi limiti che quel nascondiglio, apparentemente sicuro, gli offre. A coloro che si sentono infelici. A coloro che vivono relazioni disturbate, consumate, disperate…
La serenità esiste.
Abbiate il coraggio di cercarla, abbiate il coraggio di chiedere aiuto.
La vita è troppo breve per essere consumata in tormenti.
La serenità esiste.
#nonseisola #midirasnur